Subito dopo l’attentato a colpi di souvenir moltissime persone (soprattutto politici) hanno stigmatizzato l’uso della violenza dichiarando: “La violenza non è accettabile, mai!”
Una levata di scudi e una condanna della violenza su giornali, TV, blog (ad esempio Berlusconi, la violenza no di Angelo Volpe),e social media, talmente generalizzata da far passare chi non la vede nello stesso modo per un pericoloso estremista.
In questo periodo mi è capitato di riflettere su questa frase, su questa inaccetabilità della violenza, sempre e comunque e di chiedermi se in questo rifiuto generalizzato ci poteva essere qualche cosa di sbagliato e se, qualche volte, la violenza è accettabile oppure addiriturra il comportamento più giusto.
Mi sono fatto alcuni esempi, ponendomi delle domande.
Per esempio: sarebbe stato giusto uccidere Hitler? Se misuro l’eticità di un’azione in base al numero di morti, beh, nel caso di Hitler ammazzandone uno se ne sarebbero salvati milioni… Forse sarebbe stato un’azione giusta o addirittura meritoria!
Oppure, secondo esempio. Una buona parte delle persone conviene che la legittima difesa sia giusta. In questo caso un’ipotetica vittima di una uno stupro se si ribella ribellarsi può – anche legalmente – uccidere l’assalitore.
Un terzo esempio: immaginiamo un campo di prigionia, tipo Abu Ghraib. Se uno dei prigionieri, oggetto delle odiose vessazioni, si fosse ribellato e fosse riuscito a ferire o ad uccidere un proprio aguzzino avreste considerata ingiusta o inappropriata la violenza?
Quarto esempio: quello che sta succedendo in questi giorni a Rosarno. Alcuni immigrati sfruttati si sono stufati di essere oggetto di violenza da parte dei locali. Avrebbero potuto rivolgersi alle forze dell’ordine, allo Stato, ma la loro condizione di clandestini li avrebbe costretti a pagare un prezzo troppo alto: l’espulsione. E allora si sono ribellati in modo violento.
E’ interessante osservare come – in questo caso – la condanna della violenza non sia stata così unanime. Ad esempio, alcuni miei amici blogger hanno avuto una valutazione tollerante della violenza praticata “dagli schiavi”. (Vedi Rosarno, Italia di Angelo Volpe e Dalla parte dei più deboli, di Orso Marsicano *).
L’unico elemento comune nei casi che ho riportato come esempi di “violenza accettata” è il forte squilibrio dei rapporti di forza, con un elemento forte che vessa e sottomette un elemento più debole, enormente più debole. Hitler era più potente dei suoi attentatori; le guardie carcerarie di Abu Ghraib sottomettevano completamente i loro prigionieri; chi tenta un stupro è fisicamente più forte della vittima; e gli italiani che si sono divertiti a vessare ed aggredire gli immigrati a Rosarno, erano in una posizione di privilegio.
Sembra quasi che la violenza praticata dal più debole nei confronti del più forte sia più tollerabile delle violenza in altre situazioni. In certi casi viene percepita addirittura come giusta.
Non sono arrivato ad una conclusione, ma ormai mi sono convinto che non è vero che l’uso della violenza non sia mai giustificato. Ci sono dei casi in cui la violenza è giustificata e giusta.
E’ possibile definire una regola generale, una casistica che permette di considerara le violenza una soluzione accettabile? Non lo so, ma avendo già trovato quattro casi che aprono la strada a parecchi dubbi credo possano esser i molti i casi forse sarebbe il caso di rivedere l’affermazione “La violenza non è mai accettabile”.
E voi che ne dite?
*) Nota 12/10/2013: l’articolo “Dalla Parte dei più deboli” non c’è più.
E’ vero, la materia del discutere è stimolante e problematica. Ho scritto “la violenza non è mai accettabile”. Ne sono fermamente convinto e lo confermo come principio, come valore etico e morale, come scelta di vita. Ma ci sono delle limitazioni alla valenza assoluta dell’affermazione che mi vengono suggerite dal buon senso. Non condivido la scelta della violenza come atto volontario e deliberato, ma la ammetto se si tratta di una scelta obbligata e senza alternativa valida e praticabile. Insomma io personalmente non userei mai la violenza come atto di mia volontà, ma se dovessi farlo per difendermi allora non avrei esitazioni. Non voglio banalizzare il discorso, ma vorrei portare l’esempio del rugby. Esperienza per quanto mi riguarda altamente formativa nelle cose spicciole come in quelle importanti. Uno sport che molti, non conoscendolo a fondo, ma solo superficialmente, considerano uno sport violento. Per la mia esperienza di ex giocatore posso dire che in parecchi anni di gioco non ho mai usato la violenza contro un avversario su mia iniziativa per intimorirlo, sopraffarlo o fargli del male. E posso assicurare che fisicamente me lo sarei potuto permettere senza grosse difficoltà. Invece quando era il mio avversario a tentare di usare il gioco violento e intimidatorio nei miei confronti, in mancanza di una tutela da parte dell’arbitro, ho risposto colpo su colpo fino a che il mio contendente non si è piegato “a più miti consigli”. In altre parole l’uso della forza o della violenza in presenza di determinate condizioni può essere legittimo e giustificato. Mi viene in mente una reminescenza dei tempi di scuola. Terza legge di Newton (o III principio della dinamica): ad ogni azione fa seguito una reazione uguale e contraria. Ecco, questo sintetizza bene ciò che penso dell’uso della forza e della violenza.
Una cosa è la violenza fine a sè stessa, un’altra è la legittima difesa, un’altra ancora è la violenza causata dagli effetti di una sottomissione a sua volta troppo violenta.
Se, nella violenza fine a sè stessa il soggetto “attivo” è colui (o coloro) che la provoca, negli altri due casi si potrebbe affermare che, dato il tipo di costrizione subita, il soggetto che provoca la violenza è passivo, nel senso che è stato il primo a subire.
Comunque, tutto si misura con la reazione del soggetto passivo.
Se io vedo qualcuno che mi sta portando via dal recinto un paio di galline, non posso essere autorizzato a sparargli una scarica di pallettoni e ad ucciderlo.
Se però, qualcuno sta minacciando seriamente la mia vita o quella dei miei cari, o comunque sta attentando l’integrità fisica di una persona, la reazione potrebbe anche essere estrema.
Così come chi è stato pesantemente sfruttato, maltrattato, picchiato, carcerato, torturato e quant’altro si voglia, ingiustamente, quando avrà la possibilità di reagire lo farà con tutti quelli che, secondo lui, rappresentano i poteri che di lui hanno abusato: ecco la nascita della rivolta e della strage.
Un discorso a parte merita il fattore “provocazione”. Chi provoca ha sempre torto; chi reagisce, potendo in alternativa organizzare una difesa lecita, ha ancora più torto.
Il provocatore va istruito, educato a riflettere; a chi reagisce deve essere indicato, nella maniera più opportuna, che c’è chi lo tutela dalle provocazioni.
Alla fin fine, l’argomento è così delicato e le variabili talmente variegate che si potrebbe discuterne per ore.
C’è provocazione e provocazione. La provocazione intelligente è un meccanismo di discussione che mira a mettere in luce le contraddizioni di un sistema.
Per esempio, applicare rigidamente e consapevolmente una norma assurda per paralizzare un ufficio. Oppure effettuare l’obiezione fiscale alle spese militari. Sono forme di provocazione, non violenta, che puntano ad avere visibilità e ad evidenziare le storture di un sistema.
La provocazione fine a se stessa che punta ad irritare e a distruggere è altra cosa.
E in ogni caso, la provocazione va usata dal basso. Un conto è un cittadino comune che usa l’arma della provocazione, un conto è se questa provocazione è esercitata da chi detiene il potere.
Berlusconi e i suoi sono provocatori del terzo tipo, quelli peggiori. Provocano con il loro comportamenti e provveddimenti, tanto sanno che i provocati non hanno abbastanza potere per reagire.
Una forma di bullismo politico, assolutamente disdicevole, che apre la strada alla reazione violenta.