Il paradosso della tolleranza, formulato da Karl Popper nel 1945, partiva da un’osservazione: una collettività caratterizzata da tolleranza indiscriminata è inevitabilmente destinata ad essere stravolta e successivamente dominata dalle frange intolleranti presenti al suo interno.
Popper, concludeva in modo apparentemente paradossale affermando che l’intolleranza nei confronti dell’intolleranza stessa è una condizione necessaria per la preservazione della natura tollerante di una società aperta.
Negli ultimi anni questo paradosso è stato utilizzato in funzione “anti islamica”, da persone animate da uno spirito di libertà encomiabile, che però dimenticavano la risposta di John Rawls data a Popper, quasi trent’anni dopo l’enunciazione del suo paradosso. Rawls sosteneva che una società che non riconosca la tolleranza agli intolleranti è per definizione a sua volta intollerante. Ma anche Rawls affermava che va bene tollerare gli intolleranti, fin quando questi non costituiscono un pericolo attivo per la libertà e le istituzioni.
Altri pensatori hanno rilevato limiti e punti di forza di questi paradossi e questi ragionamenti. La questione è maledettamente complessa e la possiamo osservare tutti i giorni, anche nel nostro piccolo, in ambiti diversi. come il controllo di associazioni, di partiti, di gruppi di discussione onilne e altre entità collettive. Chi elabora policy e regolamenti si trova sempre schiacciato tra questi due estremi: se si lascia troppa libertà c’è il rischio che qualcuno prenda il controllo di queste entità e se ne appropri snaturandole; se se ne lascia troppo poca c’è il rischio di passare da intolleranti e di essere perciò respingenti.
In fondo è quello che abbiamo visto accadere in molti gruppi di discussione online, ma abbiamo visto questo fenomeno all’opera anche di recente in molti partiti. Per esempio, Renzi su un onda di popolarità prende il potere nel PD, scorda i principi democratici e usa quello stesso potere per snaturare il PD, costringendo alla fuga tutti coloro che non si riconoscono nel suo corso. Ma oltre al pd di Renzi, che almeno si è limitato ad abusare di una maggioranza, nella storia di molti partiti non mancano certo i casi, anche recenti, in cui addirittura sono state minoranze ben organizzate a prendere il sopravvento su strutture in cui le maggioranze erano “troppo democratiche”.
Forse forse proprio questo eccesso di tolleranza potrebbe anche essere il limite della sinistra: strutture così democratiche che, in presenza di integralismi e intolleranze, vanno in cortocircuito e creano inevitabili dinamiche di sopraffazione, ostracizzazione, enucleazione e, infine, scissione, polverizzazione, atomizzazione, irrilevanza? Umh… mica me la sento di rispondere, ma credo che dovremmo pensare tutti un po’ su questi temi.
Ma torniamo a questi giorni. Dopo i fatti di Christchurch, in Nuova Zelanda, Facebook ha elaborato una nuova policy che tra l’altro prevede il suggerimento di un “percorso rieducativo” per i suprematisti bianchi. È un passo avanti per tutelare le libertà e i diritti delle persone, ma stiamo comunque parlando di regole dettate da una società privata non da uno stato o da una comunità di stati e neppure da una comunità di persone che cercando di autoregolarsi. Un processo di creazione di regole, perciò totalmente privo di qualunque elemento di “democrazia”. Le regole sono create e disposte da entità non democratiche, che però hanno dalla loro quantità sterminate di utenti che le rendono apparentemente democratiche.
È singolare che un dibattito così importante sia affrontato da società private e sarebbe utile che fosse discusso all’interno di organismi che, rispetto ad una società votata al profitto, sono più democratici e rappresentativi. Provando anche solo a dare una sbirciata veloce agli scenari che si aprono lasciandoci guidare dalle multinazionali, possiamo immaginare un numero spropositato di paradossi sul grado di libertà che dev’essere concesso a questa potentissime società, sulla responsabiità di queste, sui limiti da porre a questi colossi e su come fare per imporre questi limiti.
Non sono un filosofo, ma ragazzi, ce n’è da ragionare.