Era il 1986. Lavoravo solo da un anno, quando ho conosciuto Michele de Boni. Un giovane gastroenterologo che aveva quest’idea: voleva ridurre i tempi di consegna dei referti degli esami di endoscopia digestiva. Voleva consegnarli subito pochi minuti dopo aver terminato l’esame invece di costringere le persone a tornare una seconda volta, solo per ritirare l’esito.
Pensava, giustamente, che l’informatica avrebbe potuto aiutarlo a raggiungere l’obiettivo. Aveva le idee piuttosto chiare. La sua richiesta era di poter collaborare con qualcuno disposto a lavorare in ospedale, guardando da vicino tutti i passaggi in modo da poter analizzare il processo e di aiutarlo ad elaborare la soluzione giusta. Inoltre c’era una richiesta insolita: per ottimizzare i tempi di lavoro, ogni tanto sarebbe stata una buona cosa lavorare di notte, quando il dottore era di turno. Era una cosa che usciva dalla routine della software house per cui lavoravo, fatta soprattutto di contabilità bolle, fatture e distinte base. Ma il titolare dell’azienda mi aveva capito bene e aveva capito che io avrei potuto essere la persona giusta. E così mi ha proposto la cosa. Avevo 24 anni, lavoravo da poco più di un anno, ma il progetto mi piaceva e rientrava proprio nelle mie corde. Ho accettato di corsa.
Lavoravo a Belluno durante il giorno, poi mi spostavo a Feltre verso sera. Arrivavo verso le 9, ordinavamo un paio di pizze e, mentre le mangiavamo, Michele mi spiegava cosa aveva in mente. Io dovevo poi cercare di proporre delle soluzioni per realizzare le sue richieste. E poi via a scrivere codice, compilare tabelle, codificare esiti, esami, patologie. Michele mi spiegava tutto, mi faceva assistere (di giorno) agli esami, perché potessi capire anch’io nei dettagli come si svolgeva tutto e come avrei potuto velocizzarlo. Avevo conosciuto le infermiere e gli infermieri, assistenti e colleghi di De Boni. Penso che se in quei mesi non avessi vissuto così da vicino la vita dell’ospedale non avremmo potuto produrre nulla di decente. È stato un periodo entusiasmante, ma ce l’abbiamo fatta e alla fine abbiamo prodotto un sofware che mettendo insieme diverse componenti, riusciva ad introdurre quel tanto di automazione necessaria a fluidificare il processo e per riuscire a scrivere i referti tra un esame e l’altro.
Michele era un vulcano. Aveva un’energia incontenibile, un vero trascinatore. Poi i casi della vita mi hanno portato a Modena e ci siamo persi di vista. Me l’aveva anche detto. “Sono contento per te, sono sicuro che avrai le tue soddisfazioni, ma a me dispiace perché perdo un amico”.
Pensavo si sbagliasse, ma invece aveva ragione. La lontananza aveva reso le visite sempre più diradate. Negli ultimi vent’anni, non l’ho più visto. L’unico legame era mia mia mamma. Anche lei era stata conquistata dalla competenza, l’energia, e la simpatia di De Boni, e andava sempre da lui a farsi visitare. Anche Michele ricordava con piacere quel periodo di ensusiasmante programmazione notturna e di quel programmatore giovane e matto disposto ad assecondarlo, e si informava di come mi andavano le cose, e mi mandava i suoi saluti.
È con tremenda tristezza perciò che ho letto questa sera, proprio prima di andare a dormire, che Michele non c’è più. L’ospedale e la medicina perdono una grande persona, un ottimo medico e un validissimo organizzatore, Questa è la cosa più grave, perché il mondo è diventato più povero oggi, ma io – egoisticamente – piango l’amico.